

Le variazioni interpretative dell’idea stessa di Patrimonio culturale con cui oggi quotidianamente ci confrontiamo, da addetti ai lavori, ma anche da semplici appassionati o fruitori occasionali, rendono particolarmente evidente la complessa evoluzione in materia di contatto, diffusione, divulgazione, narrazione del patrimonio e quindi della sua valorizzazione. Un principio sempre più rivolto a considerare il “valore” di qualcosa, secondo la volontà di “farlo valere di più” (e non solo economicamente), quindi renderlo più manifesto, più conosciuto. Ciò implica, innanzitutto, il riconoscimento di un contesto, di relazioni, di dialogo, quindi della comprensione di bisogni ed aspettative che richiedono di esser soddisfatte secondo differenti modalità a differenti livelli di accessibilità. Tale complessità trova riscontro anche nel contesto sociale e culturale in cui la diffusione delle nuove tecnologie si configura, al contempo, come causa ed effetto di buona parte di questa evoluzione, favorendo un profondo cambiamento nella comune percezione del patrimonio e delle modalità richieste dalla società per la sua fruizione. Partendo dal principio secondo cui l’innovazione è un fatto culturale, prima ancora che tecnologico, oggi come non mai occorre sostenere la maturazione di una consapevolezza nuova rispetto alla relazione tra digitale e cultura.
Perché parlando di digitalizzazione dei musei il termine e il campo che si investe è ampio e plurale, non parliamo solo di meri supporti tecnici, o della “semplice” trasposizione in digitale delle collezioni e del materiale bibliografico d’archivio, ma della messa a sistema dei supporti online e della ridefinizione degli standard di fruibilità, nonché di strategie e servizi di accessibilità offerti. Con tutte le differenze del caso, non si può non constatare che per un numero sempre maggiore di istituti fornire un accesso aperto, smart alle collezioni e archivi è considerato fondamentale per coinvolgere il pubblico e adempiere più estensivamente alla propria missione, non solo come mezzo di salvaguardia “fisica” dei beni che custodiscono. Perché parlando di digitalizzazione dei musei serve superare un’idea di esperienza culturale da compiersi secondo una impossibile omogeneità di fruizione, e occorre parlare della ridefinizione degli standard di fruibilità, nonché di strategie e nuovi servizi per una nuova accessibilità. Inoltre per quanto detto sopra: quel che prima era una opportunità oggi è una necessità. Un cambio di passo del settore non solo auspicato, ma richiesto, che per compiersi deve iniziare dal rivedere alcuni dei paradigmi propri delle attività di diffusione culturale secondo una nuova interpretazione della relazione tra contenuto e fruitore in chiave partecipativa, anche attraverso un saggio uso di queste nuove “regole di ingaggio”, capaci di compiere non una sostituzione delle metodologie più “classiche” di fruizione e divulgazione, ma di creare vere e proprie nuove esperienze commiste, incrementando le potenzialità dell’innovazione tecnica, ma soprattutto facilitando il compiersi di quella tanto ricercata centralità del pubblico intesa come innovazione sociale.
Partendo da questo assunto, il settore culturale oggi deve giocoforza confrontarsi con un nuovo equilibrio tra domanda e offerta dell’esperienza culturale. Un complesso lavoro di ri-progettazione che, unito alla diffusione delle tecnologie, ha spinto i luoghi della cultura a razionalizzare e funzionalizzare sia i propri spazi fisici, che le modalità di condivisione dei propri contenuti culturali. Tuttavia, in questo panorama connotato da una grande complessità, talvolta i principi sull’uso della tecnologia che determinano la differenza tra “mezzo” e “fine” vengono a confondersi. Ciò può limitare la capacità di adattare in maniera ottimale la propria offerta culturale alle nuove forme di fruibilità e valorizzazione. Allora, digitalmente parlando di cultura, la parentesi che si apre è ampia e inizia dall’evoluzione dei contesti sociali, del quadro normativo e degli strumenti tecnologici a supporto della fruizione e dell’accessibilità al patrimonio culturale. Non si tratta solo di comunicazione e social media ma parliamo anche di tecnologie strutturali e strumentali: trasposizione in digitale delle collezioni e del materiale bibliografico d’archivio; o della messa a sistema dei supporti online, come i siti internet, e della ridefinizione degli standard dei servizi offerti, ad esempio e-commerce e bigliettazione; di comunicazione di contatto e fruizione on-site, con ri-allestimenti che prevedano innesti tecnologici innovativi, come APP o VR, o online, sia coi “social” o i virtual tour, ma anche della qualità dei contenuti che propongono. Quindi: di cosa si sta parlando quando si parla di digitalizzazione dei musei? Di tutto quanto di cui sopra messo insieme, ecco di cosa si sta parlando. Digitalmente parlando di cultura e musei il valore aggiunto delle tecnologie per la valorizzazione e la fruizione sta nell’esser parte di una strategia complessiva, non nella semplice somma delle parti. Una complessità che aiuta ad approfondire dinamiche resa possibile solo grazie (e spesso a “causa”) all’utilizzo di tecnologie che 5 anni fa non esistevano.
E proprio in questa direzione sta andando il progetto di formazione AIRFARE della la fondazione Matera 2019, in cui ho il piacere di ricoprire il ruolo di curatore scientifico nonché di docente del ciclo di laboratori dedicati alla Digitalizzazione del patrimonio, organizzato insieme alla Basilicata Digital Academy. Tanti partecipanti, tra designer, progettisti culturali, operatori per i beni e le attività culturali, operatori dell’audiovisivo e del teatro, guide turistiche, ricercatori, docenti, comunicatori, editori provenienti da Basilicata, Puglia, Campania e Calabria. Persone belle, diverse, per età e sensibilità, professionalità e formazione, che si sono tutte messe alla prova e con cui abbiamo lavorato su come sviluppare un diverso concetto di “valore” della nostra eredità culturale (rilasciato ed assegnato) attraverso l’uso sapiente del digitale come risorsa, non solo come strumento, provando ad immaginare come partecipare attivamente al processo di innovazione che coinvolge oggi come non mai il settore culturale.
Sono state giornate intense, vissute assieme a un gruppo bellissimo, sempre sinceramente attento ed entusiasta, che mi ha confermato che, contrariamente a un sentire troppo comune, il settore è vivo e vitale e che pensare a una sua innovazione “si può fare”.
di Massimiliano Zane